Odisseo e Achille nell’Ippia Minore: Esempi di un dibattito morale

Autores

  • Franco Trabattoni Università degli Studi di Milano

DOI:

https://doi.org/10.47661/afcl.v11i21.21665

Palavras-chave:

Platone, Omero, Ippia minore

Resumo

RIASSUNTO: Nell'Ippia Minore, soprattutto nella sua ultima parte, Platone sembra voler sostenere che chi è in grado di sbagliare volontariamente (ad esempio mentire) è migliore, sul piano morale, di chi non lo sa fare; e dunque, contrariamente all'opinione condivisa in modo pressoché unanime nella cultura greca, che la subdola e spesso ingannevole astuzia di Odisseo è superiore, sempre dal punto di vista morale, alla sincera e semplice schiettezza di Achille. La maggior parte della critica ha trovato imbarazzante ammettere che Platone sostenesse una tesi di questo genere, e ha dunque tentato in vari modi di correre ai ripari. La strategia più usata è la seguente: giacché il principio secondo cui chi sbaglia volontariamente è migliore è valido solo in rapporto alle tecniche, Platone starebbe cercando di dimostrare o che l'etica non è una tecnica, oppure che per quella tecnica che è l'etica il principio in questione non vale. Ma si tratta di un punto di vista insostenibile, perché contrario sia alla lettera sia al significato del testo. Nell'Ippia minore, così come molti altri dialoghi (non solo giovanili), quello che Platone vuol dimostrare, in chiara polemica contro l'etica tradizionale che affondava le sue radici proprio nel modello etico che potremmo chiamare epico - omerico (quello, appunto, in cui era sancita la superiorità morale di Achille su Odisseo), è che dal punto di vista formale l'etica (e più in generale la filosofia, considerato l'intento pratico che essa ha in Platone) è una tecnica esattamente come le altre: è la tecnica, in particolare, che ha come suo scopo quello di produrre la felicità, ovvero la vita buona (del resto tutto questo è già implicito nel motto socratico secondo cui la virtù è conoscenza). E poiché non è pensabile una tecnica in cui l'esperto non abbia un sapere sufficiente per commettere errori, necessariamente ne consegue che il principio incriminato è valido anche per l'etica e per la filosofia: chi è in grado di compiere il male volontariamente è migliore di chi non lo sa fare. Naturalmente se da qui ricavassimo la conseguenza che il virtuoso fa sia il male sia il bene volontariamente, mentre il vizioso, non potendo fare il male, fa volontariamente solo il bene, avremmo raggiunto una conclusione assurda. Ma in realtà la frase in oggetto è doppiamente falsa. In primo luogo il vizioso non fa il bene volontariamente: infatti il motivo per cui non può fare il male volontariamente è che non conosce la differenza tra bene e male, e dunque per la stessa ragione non può fare volontariamente nemmeno il bene. In secondo luogo il virtuoso non fa il male volontariamente, semplicemente perché il male non lo fa mai. E qui viene in luce qual è l'unica vera differenza tra le altre tecniche e l'etica/filosofia. Un tecnico può volontariamente commettere errori perché può all'occorrenza operare per fini diversi da quelli della sua tecnica (ad esempio, un medico può voler uccidere un paziente), che al momento considera più importanti; invece il filosofo, ossia il tecnico dell'etica, non ha questa possibilità, perché il fine dell'etica è la realizzazione della vita buona, e fini che possano all'occorrenza essere considerati superiori a questo non ne esistono.

Publicado

2018-11-17